Per il catalogo di Matteo Loves

Non sappiamo precisamente dove e quando Matteo Loves, nato a Colonia in Germania, conobbe Giovanni Francesco Barbieri, tuttavia possiamo immaginare che nel novembre del 1625, quando il Guercino fece da padrino al battesimo di Francesca, prima figlia di Matteo, il rapporto tra i due artisti fosse ormai consolidato da qualche tempo. Nella stessa chiesa di San Biagio a Cento, il 10 febbraio del 1625, si erano celebrate le nozze tra il pittore tedesco e la centese Violante, figlia di Giovanni Domenico Fabri. Sappiamo che la nobile famiglia dei Fabri intratteneva stretti rapporti con il Guercino: come c’informa Carlo Cesare Malvasia, nel 1616 a Cento Barbieri aveva fondato “l’Accademia del nudo e il Sig. Bartolomeo Fabri [un altro membro della famiglia], fece fare a posta due stanze e ne le fece padrone”; qualche anno dopo, tra il 1621 ed il 1623 il maestro centese aveva realizzato per Domenico Fabri una serie di quattro dipinti rappresentanti gli Evangelisti. Molto probabilmente, dunque, il rapporto tra Violante e Matteo era iniziato proprio quando il pittore straniero era entrato a far parte della bottega del centese, verosimilmente attorno all’inizio del terzo decennio del Seicento. Dopo l’incontro tra i due pittori, che secondo l’ipotesi di Denis Mahon sarebbe avvenuto a Roma tra il 1621 ed il 1623 durante il soggiorno del Guercino, Matteo Loves diventò uno dei suoi più stretti collaboratori almeno fino alla fine degli anni trenta del Seicento.

All’interno della bottega del Guercino, Loves ebbe la possibilità di confrontarsi anche con gli altri componenti della fiorente impresa artistica: c’erano infatti Paolo Antonio Barbieri (1603-1649), fratello minore del Guercino, Bartolomeo Gennari (1594-1661) ed Ercole Gennari (1597-1658), figli del pittore manierista Benedetto Gennari Senior (che fu anche il primo maestro di Barbieri), il loro cugino Lorenzo Gennari (1595-ante 1672), Benedetto Zalone (1595-1644) e Giovanni Battista Pasqualini (1595-1631). Tra questi, Matteo Loves instaurò proficui rapporti di “dare-avere” in particolare con Bartolomeo Gennari e Benedetto Zalone che, all’interno dell’accademia centese, erano senza dubbio gli artisti più dotati. Il primo, che era entrato sin da giovane nella bottega del Guercino, vi operò fedelmente per tutta la vita e seguì il maestro in alcuni dei suoi spostamenti. Dopo una prima fase come copista, verso la fine degli quarto decennio del Seicento cominciò a produrre opere indipendenti che mostrano un accostamento ai modi classicisti contemporanei del maestro riproposti con un’intonazione a volte più rigida ed austera. Il secondo, che operò sempre a Cento, si distinse al pari del Loves come personalità autonoma tra i seguaci coetanei del suo maestro: influenzato soprattutto dalle sue opere giovanili, arricchì con grave accento rustico il naturalismo del Guercino.

La ricostruzione del catalogo di Loves ha preso avvio da una serie di dipinti “da stanza” che consuonano con lo stile del Guercino della fine degli anni venti, e che per questo si collocano in quel periodo o poco dopo: la Maddalena piangente in contemplazione del Crocifisso (Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi), che nel 1677 si trovava a Bologna nella Pinacoteca di Ferdinando Cospi, il Sogno di San Giuseppe (Reggiolo, collezione privata), il San Rocco e l’angelo (Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi), la Madonna in adorazione del Bambino (Bologna, Fondantico) e la Susanna al bagno spiata dai vecchioni (Cento, collezione privata). Questo primo omogeneo gruppo di dipinti rivela la capacità di Loves d’innestare i modi del naturalismo guercinesco, riscontrabili nella viva immanenza dei soggetti e nell’alterna vicenda della luce e dell’ombra, sulla sua originaria educazione fiamminga, che si palesa invece nel disegno meditato ed elegante, nella minuziosa descrizione dei particolari e nella nitida atmosfera, in cui brillano, accostati con sensibilità cromatica decisa, colori lucidi e accesi.

Così Loves si mostra anche nella bella paletta con l’Angelo custode che nell’agosto del 1630 venne collocata nella chiesa dei Santi Rocco e Sebastiano a Cento (in loco); quest’ultima, probabilmente, precede di poco La Vergine Maria, San Bernardino da Siena e l’angelo custode (del quale è autografa solo la parte inferiore), di cui non si conosce la primitiva collocazione prima dell’arrivo nella chiesa di San Pietro a Cento (dove è tuttora custodita) avvenuta tra le fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento in sostituzione della pala del Guercino del 1618 con San Bernardino da Siena e San Francesco d’Assisi requisita dai militari francesi nel 1796.

Maddalena piangente in contemplazione del Crocifisso. Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi
Sogno di San Giuseppe. Reggiolo, collezione privata
San Rocco e l’angelo. Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi
Madonna in adorazione del Bambino. Bologna, Fondantico
Susanna al bagno spiata dai vecchioni. Cento, collezione privata
Angelo custode. Cento, chiesa dei Santi Rocco e Sebastiano
La Vergine Maria, San Bernardino da Siena e l’angelo custode. Cento, chiesa di San Pietro (autografa solo la parte inferiore)

Se le opere sinora illustrate rivelano la cifra stilistica più consueta di Loves, altri dipinti – fraintesi, poco noti o inediti – caratterizzati da un fare più acerbo e sperimentale  consentono di far luce sulla sua prima fase, quella che segue l’ingresso nella bottega del Guercino, dal 1623: la Maddalena con la corona di spine nella Galleria Nazionale di Parma; il Sansone e Dalila nel Palazzo Campana di Osimo; la Maddalena e l’angelo in collezione privata; la Maddalena al sepolcro nel Seminario Vescovile di Faenza (attr. M. Pulini); La morte di Adone già Dorotheum (Vienna, 13 ottobre 2013, lotto n. 556, come opera giovanile del Guercino, 1613-15, su suggerimento di N. Turner ed E. Schleier); l’Annunciazione in raccolta privata (attr. di M. Francucci) ispirata all’affresco “miracoloso” nella Basilica della Santissima Annunziata a Firenze.

Maddalena con la corona di spine. Parma, Galleria Nazionale
Sansone e Dalila. Osimo, Palazzo Campana
Maddalena e l’angelo. Collezione privata
 Maddalena al sepolcro. Faenza, Seminario Vescovile
La morte di Adone. Già Vienna, Dorotheum (2013)
Annunciazione. Collezione privata

Dopo il primo periodo trascorso a Cento, durante il quale la moglie Violante gli regalò altre due bambine (battezzate a Cento nel 1628 e nel 1631), Matteo Loves, nell’ottobre del 1632, assieme al compagno di bottega Bartolomeo Gennari, accompagnò Guercino a Modena alla corte di Francesco I d’Este dove gli allievi realizzarono nei primi mesi del 1633 le quattro copie dei due ritratti dei duchi eseguiti dal maestro (e forse sono di mano del Loves quelle che si conservano a Ginevra, Collection des Musées d’Art et d’Histoire). Questa trasferta fu decisiva per il pittore tedesco che, dopo un probabile periodo di malattia trascorso a Cento sul finire del 1633, fu richiamato a Modena dallo stesso Francesco I e vi soggiornò nel 1634 e nel 1635 per eseguire altre opere tra cui il Ritratto del Padre Giambattista d’Este, già duca Alfonso III di Modena (1635, Modena, Galleria Estense), che mostra la consueta contaminazione di ricordi oltremontani e naturalismo guercinesco.

Ritratto del duca di Modena Francesco I; Ritratto della duchessa di Modena Maria Farnese d’Este.
Ginevra, Collection des Musées d’Art et d’Histoire
Ritratto del Padre Giambattista d’Este, già duca Alfonso III di Modena. Modena, Galleria Estense

Nel corso degli anni trenta, come abbiamo visto, il pittore mise a punto uno stile molto originale, che non subì svolte significative negli anni successivi. Le osservazioni riguradanti il gruppo di opere che costituisce il nucleo fondante del suo catalogo sono valide infatti anche per altri dipinti “da stanza” nei quali consuetudine guercinesca e caratteri nordici si fondono creando immagini molto suggestive e raffinatamente siglate: la Giuditta con la testa di Oloferne presso Sarti a Parigi (sul retro: “Giuditta Mattiha Oloferne Lovez”), il Cristo e la samaritana nelle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna, il Sogno di San Giuseppe esposto come Guercino al Palazzo Reale di Napoli, il San Sebastiano con l’armatura nel Wadsworth Atheneum di Hartfort (segnalatomi da D. Stone), il San Sebastiano, a mezza figura, in raccolta privata, il San Giovanni Battista già sul mercato londinese (attr. M. Pulini), la Vanitas con Elena di Troia (Etsi Helena non pluris quam simiam) recentemente assegnata da Turner alla fase giovanile del Guercino.

Giuditta con la testa di Oloferne. Parigi, Sarti
Cristo e la samaritana. Bologna, Collezioni Comunali d’Arte
Sogno di San Giuseppe. Napoli, Palazzo Reale
San Sebastiano con l’armatura. Hartfort, Wadsworth Atheneum 
San Sebastiano. Collezione privata
San Giovanni Battista. Già Londra, Sotheby’s (1969)
Vanitas con Elena di Troia (Etsi Helena non pluris quam simiam). Collezione privata 

Non sappiamo se dopo la permanenza presso la corte estense di Modena Matteo Loves sia ritornato a Cento nella bottega del maestro, oppure, come ci pare più probabile, abbia intrapreso, ormai emancipato, una carriera professionale indipendente; non bisogna quindi stupirsi di ritrovarlo impegnato, circa alla fine del quarto decennio del secolo, nella realizzazione della grande tela con il Il miracolo di San Pietro che resuscita Tabita per la chiesa di San Pietro in Valle a Fano (ora Pinacoteca Civica), che andò ad affiancare i dipinti dei ben più noti Guido Reni e Simone Cantarini. Il distacco tra il pittore tedesco ed il suo maestro sembra tuttavia essersi compiuto almeno dall’ottobre del 1640 – e con ogni probabilità sin dall’anno precedente – quando Matteo Loves risulta domiciliato a Bologna in via di Mezzo (attuale via Marsala), in anticipo di un paio d’anni rispetto all’arrivo a Bologna del Guercino, che a quella data si trovava ancora a Cento. Barbieri infatti decise di trasferirsi a Bologna, accolto nel palazzo di Filippo Aldrovandi, soltanto a partire dal 26 settembre 1642, e, successivamente, dal 17 ottobre 1644, si spostò, con le famiglie dei suoi parenti Gennari e Muzzi, nell’immobile acquistato in via del Carbone (l’attuale via Sant’Alò).

Il miracolo di San Pietro che resuscita Tabita. Fano, Pinacoteca Civica

Tra i portici della città felsinea, ed in particolare tra la parrocchia di San Niccolò degli Albari e quella di San Martino, dove Loves è registrato negli stati delle anime negli anni 1643 e 1644, essi ebbero la possibilità di frequentarsi nuovamente e probabilmente di lavorare ancora assieme. Il 9 ottobre del 1641 Loves fu incaricato di eseguire la pala con La Madonna in gloria con i Santi Pietro e Paolo per l’altare maggiore della chiesa di San Pietro in Casale (ancora in loco) – che doveva essere consegnata come da contratto entro il 25 giugno 1642 – nella quale è evidente la piena assimilazione dei modi espressivi emiliani con una serie di citazioni e richiami all’opera, oramai classicista, del Guercino. Degli stessi anni è sicuramente la pala del duomo di Carpi con San Giuseppe, San Filippo Neri ed angeli sulla quale influisce chiaramente il dolce formalismo delle opere di Guido Reni, che Loves aveva cominciato a guardare sin dalla realizzazione della tela di Fano. Dopo il 1644 non abbiamo più notizie del pittore che, comunque, risulta morto prima del 23 novembre 1647, come testimonia un documento riguardante la sua primogenita Francesca.

La Madonna in gloria con i Santi Pietro e Paolo. San Pietro in Casale (Bologna), chiesa dei Santi Pietro e Paolo
San Giuseppe, San Filippo Neri ed angeli. Carpi, Duomo

Attribuibili a Loves, e probabilmente negli anni maturi (post 1640), sono infine due opere piuttosto problematiche, il Cristo morto della Pinacoteca di Cento e il San Giorgio che uccide il drago nella parrocchiale di Corporeno (per quest’ultima, che costituisce un ricordo della tela di analogo soggetto eseguita dal Guercino prima dell’ottobre 1639, le fonti settecentesche riportano la notizia di una ricevuta firmata da Bartolomeo Gennari).

Matteo Loves (?), Cristo morto. Cento, Pinacoteca Civica
Matteo Loves (?), San Giorgio che uccide il drago, Corporeno (Cento), chiesa di San Giorgio 

Matteo Loves dunque era molto probabilmente un artista già formato quando entrò in contatto con il Guercino e la sua cerchia. Visse la sua maturità artistica in Emilia, tra Cento, Modena e Bologna, prima come stretto collaboratore del caposcuola centese, poi come maestro autonomo. La sua personale maniera fu apprezzata da importanti collezionisti dell’epoca visto che il senatore veneziano Lorenzo Dolfin possedeva a metà del Seicento una sua Lucrezia Romana (ora perduta) e che la sua Maddalena in contemplazione del Crocifisso (ora Ferrara, Fondazione Cavallini-Sgarbi) faceva parte nel 1677 della collezione di dipinti del bolognese Ferdinando Cospi. Fu un artista dalle molteplici specialità: oltre a praticare l’incisione, sappiamo, grazie alle testimonianze settecentesche di Tosi e di Baruffaldi, che si confrontò anche con la tecnica dell’affresco. Bisogna ricordare infine che come gli altri discepoli del Guercino anche il tedesco fu attivo come suo copista: una sua copia (ora perduta) da un dipinto del maestro raffigurante Santa Teresa è ricordata dal Bassani nel 1816 nella collezione del bolognese Tognoli. 

Pietro Di Natale

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